Lo spunto per parlare di Francesco Nuti mi viene da due fatti contemporanei e totalmente scollegati tra loro. Il primo, è il recentissimo e commovente omaggio di Giovanni Veronesi.
L’altro è la lunghissima notte dell’Innominato che sto vivendo professionalmente e umanamente, da qualche anno a questa parte.
Ok, niente panico, tranquilli, cambio subito disco.
Francesco Nuti, quindi. Per quelli della mia generazione, è un’icona del Rinascimento comico italiano, di quella nouvelle vague della comicità di fine anni 70 che fece di colpo sembrare più vecchi i mostri sacri della generazione precedente. Sordi, Manfredi, Gassman, Tognazzi, i colonnelli della risata. Televisivamente, siamo negli anni di Non Stop e La Sberla, su Rai Uno. Quelli, per intenderci, dei primi sketch irresistibili di Carlo Verdone, della Smorfia con Massimo Troisi e dei Giancattivi con Francesco Nuti, appunto. Sono, quelli, anche gli anni della prima ondata di comici toscani, cioè, essenzialmente, lui e Benigni, ben prima della seconda ondata minore, quella dei Pieraccioni e Panarielli vari. Questo, giusto per fare i didascalici noiosetti e un bel po’ tranchant.
Torniamo a Nuti. Di Francesco colpiva, come talvolta avviene singolarmente anche negli altri Franceschi che ho conosciuto, quella strana doppiezza di un’anima “Topolino – De Sade” (indovina la citazione), perennemente in bilico tra innocenza infantile e feroce cinismo dongiovannesco. Un Buster Keaton fragile, stralunato e talvolta perdente e squattrinato, che tuttavia piaceva sempre tanto alle donne. E che donne, poi. In ordine sparso, andando a memoria, Ornella Muti, Clarissa Burt, Sabrina Ferilli, Carole Bouquet. Mecojoni. E quanto fosse davvero fragile, Francesco, l’abbiamo scoperto registrandone la parabola umana. Prima, il successo clamoroso, televisivo, cinematografico e anche musicale. Poi, l’inaspettato declino e la caduta, purtroppo non solo metaforica, che, dopo Troisi, ci ha cinicamente privato di un altro primattore con ancora tanto, tanto da dire. Che gran peccato, che grande spreco.
La canzone, dicevamo. È incastonata nel suo primo film solista omonimo. Gran bel film, tra l’altro (bellissima, poi, la Angelillo), che rivedo sempre, come per tutti i suoi, con estremo piacere e un retrogusto dolceamaro di sottile dispiacere.
E poi, c’è quel primo verso cantato che racchiude tutta l’inquietudine di ieri sul mio domani odierno. Meno male che ora gioca la Juve, quindi mando il disco e tanti cari saluti.
Fratello Francesco, quanto mi manchi!
Madonna che silenzio c’è stasera – youtube
Che ore sono?
Eh?
Che ore sono?
A chi lo domando, o, un dormo da solo?
Va beh, va’, mi fo il caffè e poi scappo di casa come Coppi sul Tourmalet
Primo, Coppi. Secondo, nessuno.
Alzarsi una mattina e trovarsi senza mestiere
Mettersi i calzini alla rovescia perché, dice, porta bene
Andare dritti in bagno con la paura dello specchio
Lavarsi come un gatto e pisciare come un vecchio
Vestirsi poi di verde
Della speranza e dell’amore
Sognando il Paradiso per poi trovarsi in ascensore
Uscire per la strada,
camminare per la strada,
chiacchierare per la strada
Nel silenzio più totale
Nel silenzio più totale
Eppure è una mattina vera
Guarda tu che è proprio vera
Eppure è una mattina vera
Guarda tu che è proprio vera
Ma qualcuno mi risponde:
Madonna che silenzio c’è stasera…
Madonna che silenzio c’è stasera…
Tornare poi di notte con le scarpe tutte rotte
Camminando trasandato in quel verde mio vestito
Distolgo il mio pensiero
Arruffandomi i capelli
Sperando nell’incontro col signore rosso dei cavalli
Proseguo a piedi uniti per risparmiare fiato
Saluto trenta donne che accompagnano un malato
Sospirare nella strada
Camminare nella strada
Chiacchierare nella strada
Nel silenzio più totale
Nel silenzio più totale
Eppure è una mattina vera
Guarda tu che è proprio vera
Eppure è una mattina vera
Guarda tu che è proprio vera
Ma qualcuno mi risponde:
Madonna che silenzio c’è stasera…
Madonna che silenzio c’è stasera…
Madonna che silenzio c’è stasera…